venerdì 17 maggio 2013

La teoria dell’austerità di Smith/Klein/Kalecki – Paul Krugman



Noah Smith ha recentemente offerto un interessante spunto sulle vere ragioni del perché l’austerità raccoglie così tanto sostegno dalle élites, non importa, in pratica, quanto male fallisca. Le élites, lui sostiene, vedono la difficoltà economica come un'opportunità per far passare le "riforme" - il che significa fondamentalmente le modifiche che vogliono, che possono o non possono effettivamente servire all'interesse di promuovere la crescita economica - e di opporsi a qualsiasi politica che potrebbe attenuare la crisi senza che siano necessarie queste modifiche:

Suppongo che gli "austeri" siano preoccupati che le macro politiche anti-recessione consentano ad un paese di "cavarsela" attraverso la crisi senza migliorare le sue istituzioni. In altre parole, essi temono che uno stimolo di successo sprecherebbe una buona crisi.

Se la gente pensa veramente che il pericolo degli stimoli non è che possano fallire, ma che possano avere successo, dovrebbe dirlo. Solo allora, credo, potremmo avere una discussione pubblica ottimale sui costi ed i benefici.


Come egli osserva, il giorno dopo aver scritto quel post, Steven Pearlstein del Washington Post ha fatto esattamente lo stesso discordo sull'austerità.

Ciò che Smith non nota, un po' sorprendentemente, è che la sua tesi è molto vicino alla Dottrina della Shock  di Naomi Klein, con la sua tesi secondo cui le élites sfruttano sistematicamente le calamità per far passare politiche neoliberiste, anche se queste politiche sono sostanzialmente irrilevanti per le fonti del disastro. Devo ammettere che ero predisposto a “non gradire” il libro della Klein quando è uscito, fuori, probabilmente, dal settore di competenza della difesa professionale di qualunque cosa - ma la sua tesi aiuta davvero a spiegare molto di quello che sta succedendo in particolare in Europa.

Ed il lignaggio va ancora più indietro. Due anni e mezzo fa, Mike Konczal ci ha ricordato un saggio classico del 1943 di Michal Kalecki, che ha suggerito che gli interessi commerciali odiano l’economia keynesiana perché temono che possa funzionare (!) - e così facendo significa che i politici non dovrebbero più umiliare se stessi davanti agli uomini d'affari in nome del preservare la fiducia. Questo è abbastanza simile alla tesi per cui dovremmo avere l'austerità, perché lo stimolo potrebbe togliere l'incentivo per le riforme strutturali che, avete indovinato, offrono alle aziende la fiducia di cui hanno bisogno prima di degnarsi di “produrre” una ripresa.

Ed infatti, nella mia casella di posta questa mattina, vedo un pezzo che sta più o meno deplorando i primi segni di successo per l’Abenomics: l’Abenomics sta funzionando - ma è meglio che non funzioni troppo bene. Perché se funziona, come facciamo ad ottenere le riforme strutturali?!

Quindi un modo singolare di considerare l’austerità, è vederla come applicazione di una sorta di giuramento di Ippocrate all'inverso: "In primo luogo, non fare nulla per limitare il danno". Sofferenza per la popolazione se le riforme neoliberiste devono prosperare.


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