sabato 13 luglio 2013

Finanza funzionale e “ratio” del debito – parte IV - Scott Fullwiler.



Questa serie in cinque parti esaminerà a lungo (attenzione!) e in dettaglio (altro avvertimento – avviso ai secchioni!) la prospettiva della MMT sul rapporto debito/PIL e la sostenibilità fiscale. Mentre l'approccio suggerisce una combinazione di politiche macroeconomiche e di strategie, per le politiche fiscali e monetarie, che la maggior parte degli economisti neoclassici credono siano attualmente  insostenibili, in ultima analisi, la preferenza della MMT per un ruolo significativo della politica fiscale nella stabilizzazione macroeconomica si è dimostrata essere coerente anche con le tradizionali vedute neoclassiche sulla sostenibilità fiscale.

Questa quarta parte integra il contenuto delle prime tre parti con la strategia di finanza funzionale per la politica fiscale – questa parte è la più lunga e dettagliata delle quattro.

Finanza funzionale e sostenibilità fiscale.

Abbiamo raggiunto il punto in cui possiamo integrare il concetto di sostenibilità fiscale – come la convergenza o perlomeno una crescita limitata degli interessi sul debito [e/o servizio del debito n.d.t.] – con la finanza funzionale. Per fare questo, abbiamo prima bisogno di un’iniziale digressione  sul concetto ricardiano di politica di bilancio (si veda il paper di Pavlina Tcherneva per un migliore punto di vista della MMT su questo).   Il punto di vista del Nuovo Consenso che è venuto a dominare l'economia neoclassica nella prima decade del 2000 ha sostenuto un mix di politiche macroeconomiche in cui la politica monetaria gestiva l'economia e l'inflazione, attraverso una strategia mirata su regole come la legge di Taylor, per la regolazione del tasso di interesse e la politica fiscale, largamente andate fuori strada, semplicemente aderendo al proprio vincolo di bilancio intertemporale, ed impostando le tasse correnti e future con la spesa in modo tale che il rapporto debito/PIL non aumentasse senza limite (un po' più sul mix di politiche qui). Una politica di bilancio che consente di ottenere questo è chiamata ricardiana dai neoclassici. Una politica fiscale ricardiana non interferisce con la gestione della banca centrale della macroeconomia - nella maggioranza dei casi è preferibilmente passiva e risponde endogenamente solo al suo vincolo di bilancio intertemporale.


D'altra parte invece, quando la politica fiscale è impostata in maniera esogena per avere avanzi permanenti incompatibili con il mantenere un rapporto debito/PIL ad un livello determinato affinché non salga senza limite, si parla di politica fiscale non ricardiana. Ciò, ovviamente, non interferisce con i tentativi della banca centrale di gestire la macroeconomia. Questo perché aumentare il tasso di interesse per rallentare l'inflazione in uno scenario non ricardiano sbocca in una maggiore domanda aggregata attraverso gli interessi sul debito, altrimenti il governo deve "stampare denaro" per evitare il default e così aumenta l'inflazione.

Mentre questa comprensione del mix di politica monetaria/fiscale è riconosciuto nella letteratura sulla sostenibilità fiscale, è sconcertante quanto spesso lo stesso venga trascurato nelle analisi neoclassiche standard degli effetti delle politiche macroeconomiche. In effetti, la maggior parte di qualsiasi analisi neoclassica di politica monetaria mostra il suggerimento che i tassi di interesse e la spesa sono sempre correlati negativamente. Come spiegato nel 2005 da Stephanie Kelton e Rex Ballinger,  è spesso dimenticato il fatto che i pagamenti di interessi a favore del settore non-governatvio sono sempre reddito del settore privato e, quindi, l'analisi dovrebbe sempre comprenderlo come tale e non usarlo solo per circostanze particolari. Kelton e Ballinger presentano quella che abbiamo imparato a chiamare "la curva della Kelton," (Figura 6), che mostra come la relazione tra tassi di interesse e la domanda aggregata possa essere "perversa", rispetto alla visione più tradizionale, se l'aumento dei tassi di interesse aumenta la spesa ed il PIL (come nel passaggio da I1 a I2 che aumenta Y a Y * nello scenario del rapporto debito /PIL).

Figura 6 – effetti previsti contro effetti perversi: la curva della Kelton.

[Sulle ascisse abbiamo la spesa, sulle ordinate il tasso di interesse; mentre la graffa superiore riguarda bassi rapporti debito/PIL, quella inferiore alti rapporti debito/PIL, n.d.t.]



Si noti che la curva della Kelton non riguarda solo l'aumento dei tassi – ma funziona anche al contrario (cioè, una mossa da I2 a I1), cioè quello che sta accadendo in questo momento, con il record dei bassi tassi esacerbati dalle operazioni di QE che riducono la struttura del termine dei tassi di interesse, sostituendo titoli del Tesoro a lungo termine con i saldi di riserva overnight. Come Randy Wray ha spiegato qualche mese fa, l'effetto di una rendita negativa dei bassi tassi di interesse è stato significativo nel compensare qualsiasi stimolo fiscale:

Ma c'è un lato più oscuro. I bassi tassi di deposito e le alte tasse stanno cancellando i risparmiatori. Non sto dicendo nulla che non sapete. Non si può nemmeno avere mezzo punto percentuale sui risparmi in banca. Certo, anche il tasso ipotecario si è abbassato, ma l'effetto netto è il drenaggio di reddito del consumatore. Ecco una citazione da un rapporto di Credit Suisse:

L'effetto collaterale della medicina della FED dell’interesse vicino allo zero - il crollo del reddito personale da interessi nel corso degli ultimi anni. La flessione del margine di interesse in realtà stima di rimpicciolire i risparmi da interessi sul debito. L’allegato 2 confronta l'evoluzione dei costi del servizio del debito per le famiglie e i redditi personali da interessi. Entrambi gli aggregati hanno raggiunto il picco intorno a 1.4 trilioni di dollari più o meno allo stesso tempo - alla metà del 2008. Secondo la nostra analisi dei dati della Federal Reserve, il servizio del debito totale - che comprende i mutui e i costi di servizio dei consumatori - è 206 miliardi sotto il picco. La contrazione del margine di interesse ammonta a circa 407 miliardi dal suo picco, più del doppio del guadagno atteso dal più basso servizio del debito.

Mettiamolo in prospettiva. Ricordate lo stimolo fiscale di Obama? Circa 400 miliardi di dollari l'anno per due anni - diciamo quasi il 3% del PIL. C'è stato un grande dibattito sul fatto di come "ha funzionato". Solo i veri matti credono che non ci abbia salvato da una recessione ancora peggiore di quella che abbiamo attraversato.

Bene, il QE sta rimuovendo una quantità di domanda aggregata dall'economia pari alla metà dello stimolo di Obama. E non è solo per due anni - andrà avanti e avanti e avanti, anno dopo anno dopo anno, fino a quando la FED perseguirà la ZIRP [Zero Intrest Rate Policy n.d.t.].

Così il QE dovrebbe stimolare l'economia prendendosi l’1,5% del PIL ogni anno?

Così come abbiamo imparato nel caso del Giappone - che ha sperimentato la ZIRP negli ultimi due decenni - tassi estremamente bassi tolgono più domanda dall'economia rispetto a quella che mettono.  Così la Fed ha scambiato il freno per l’acceleratore: il QE sbatte su i freni, ma la Fed pensa che sia una accelerata per l'economia. L'unica cosa di cui possiamo essere grati è che la Fed sta guidando un risciò e non una Buick. Il danno che può fare non è letale.

Non fraintendetemi, io non sono contro la ZIRP – sarei per la ZIRP sempre - ma abbiamo bisogno di capire che non stimola l'economia.

E abbiamo appena scoperto la scorsa settimana che il QE ha completamente rimosso ancora quasi 90 miliardi di dollari di reddito del settore privato nel 2012.

Contrariamente ai neoclassici che credono che ci sia un certo tasso di interesse che porterà sempre alla stabilizzazione macroeconomica, gli MMTers e altri (come gli Orizzontalisti) pensano che le cose siano molto più complesse, come ci sono molteplici tassi di interesse (quale tasso dovrebbe essere negativo? il modello del Nuovo Consenso ha solo un tasso), i rapporti poco chiari tra tutti loro (il QE3 ed i suoi effetti sui tassi dei mutui sono solo un esempio delle incertezze), ed in ultima analisi la molteplicità, compensano i meccanismi di trasmissione che devono essere considerati (ancora di più è che i tassi di breve termine sono costi di produzione tramite capitale finanziario circolante e sono perversamente legati ai prezzi delle case come misurato dal CPI). In breve, una strategia con la regola di Taylor semplifica eccessivamente e grossolanamente il contesto del mondo reale della politica monetaria, quindi la sua applicabilità è sempre stata vista dagli MMTers come altamente discutibile, anche se vi è, ovviamente, qualche verità nell'idea che una parte della spesa è correlata negativamente alle variazioni dei tassi di interesse.

In un mondo in cui la regola di Taylor è una grossolana semplificazione, con un mix di politiche macroeconomiche basate esclusivamente sulla politica monetaria, mentre i responsabili politici controbilanciano passivamente il bilancio intertemporale, quella è anche eccessivamente semplicistica e persino distruttiva. Dal nostro punto di vista, la politica fiscale dovrebbe invece seguire una strategia di finanza funzionale (vedi qui  e qui per ulteriori informazioni) in cui i risultati della politica di bilancio, in termini di disoccupazione, di produttività (tenore di vita) e di inflazione sono quello che conta, non la dimensione del rapporto debito/PIL ex sé. Una strategia di finanza funzionale opportunamente progettata incorporerebbe forti stabilizzatori automatici, nonché un "kit di strumenti" opzionali per gestire le condizioni in cui sono necessari stimoli più grandi o più moderati.

Per necessità, questi dettagli sono oltre lo scopo di questi articoli - anche se si può notare che la regola di Taylor è in realtà altrettanto priva di dettagli, se non di più; contrariamente alla posizione elevata in cui è tenuta dai neoclassici, come la finanza funzionale, quella è semplicemente uno dei principi o dei criteri per guidare i responsabili politici a prendere decisioni strategiche del mondo reale basate su un particolare punto di vista di come funziona il mondo stesso (ad esempio, aumentare i tassi di interesse quando l'inflazione sale o il divario con PIL scende, e viceversa; alzare i tassi di interesse oltre il previsto aumento dell'inflazione).

Per la finanza funzionale, la prospettiva è che (a) una valuta emessa dal governo in regime di cambi flessibili non è vincolato dalle regole più tradizionali della "finanza sana" e (b) gli interessi sul debito nazionale sono una variabile di politica monetaria, non un tasso stabilito da "forze di mercato" o bond vigilantes. Come tale, nel contesto di un elevato rapporto debito/PIL - e supponiamo che gli Stati Uniti siano una nazione con elevato rapporto debito/PIL, almeno per amor di discussione - ci sono diversi approcci che si possono considerare. Qui ce ne sono due, anche se questi non si escludono a vicenda, anzi:

In primo luogo, Godley e Lavoie  hanno progettato una “regola” di politica fiscale di finanza funzionale che aumenta la spesa quando il PIL è inferiore al suo potenziale, la taglia quando il PIL è al di sopra di questo e regola anche la spesa pubblica per la differenza tra l'inflazione effettiva e quella mirata. Loro mostrano che qualsiasi tasso di interesse in questo caso è coerente con un rapporto debito/PIL stabile, tramite questa "regola" di finanza funzionale. La chiave è quella di riconoscere che la regola di finanza funzionale sarà sempre quella di ridurre la spesa ogni volta che il deficit sarebbe altrimenti troppo grande per il potenziale del PIL o per raggiungere l’obiettivo  sull’inflazione e che questa regola genera  in coincidenza anche un rapporto debito/PIL stabile. Se i tassi di interesse sono alti ed il servizio del debito è in aumento, come il PIL potenziale torna al suo posto, altra spesa pubblica diminuirà secondo la regola, con la stabilizzazione sia del PIL che, per il contesto qui in discussione, del disavanzo primario, in modo coerente con un qualsiasi livello di rapporto debito/PIL stabile. Se i tassi di interesse sono bassi, la norma consente ad altra spesa di salire fino a raggiungere il PIL potenziale, ma non oltre. In altre parole, l'impostazione della strategia di finanza funzionale, come semplice regola, di una versione di politica fiscale della regola di Taylor, mostra che una vera e propria politica fiscale di finanza funzionale è sempre ricardiana.

Godley e Lavoie poi hanno notato che un’efficace regola di finanza funzionale - effettuando l'operazione di stabilizzazione macroeconomica di per sé - consentirebbe alla politica monetaria di  concentrarsi sugli effetti distributivi della stessa. Citano gli altri che hanno proposto un tasso "equo" per il target dello stesso tasso di interesse, che rappresenta il tasso di crescita della produttività più l'inflazione, che consentirebbe ai rentiers di guadagnare tanto quanto i salariati (almeno in teoria), non di più. Per i nostri scopi qui si noti come un tasso di interesse negativo - che molti neoclassici suggeriscono sia ormai opportuno – colpisca la redistribuzione; al di là degli effetti di compensazione sullo stimolo fiscale riportati da Wray, la distribuzione tra risparmiatori e debitori del settore privato potrebbe portare un tasso di interesse nominale negativo deflazionistico, poiché mentre i neoclassici credono che interessi negativi portano i risparmiatori a spendere, in realtà la maggior parte dei pensionati riceve solo meno reddito in questo caso dai propri titoli del Tesoro, depositi a termine e così via; e quindi spendono meno in seguito.

Un secondo punto di vista – ancora, che non necessariamente si esclude a vicenda con Godley/Lavoie - è un altro più puramente ispirato alla MMT, quello che Stephanie Kelton e io abbiamo presentato nel 2007, in cui un tasso di interessi a breve termine costantemente basso è accoppiato con una strategia di finanza funzionale. Il basso tasso di interesse garantisce che il servizio del debito non aumenti senza limite a prescindere dal rapporto debito/PIL o dal deficit, mentre la strategia di finanza funzionale (come in Godley/Lavoie) compenserà qualunque mix di effetti inflazionistici o deflazionistici del basso tasso di interesse prevalenti, in ultima analisi nel breve termine (e per i pensionati, i rendimenti minori del portfolio - che possono o non possono esserci – possono essere bilanciati attraverso la politica fiscale, come da recente proposta di Warren Mosler). In coerenza con la regola di Godley/Lavoie, si è fatto riferimento ad una vera strategia di finanza funzionale con una posizione di bilancio "neutro", come si potrebbe facilmente estendere la regola di finanza funzionale di Godley/Lavoie per mostrare che ci sarebbe stato un bilancio "neutrale" di finanza funzionale per qualsiasi posizione del tasso di interesse sul debito pubblico e, quindi, ogni rapporto debito/PIL. Un tasso di interesse più basso, come noi proponiamo qui, potrebbe essere in linea con un clima politico in cui potrebbe essere meno politicamente fattibile ridurre rapidamente il deficit primario a fronte di un servizio del debito in aumento. E in quel caso, un fautore della finanza funzionale riferirebbe alla politica monetaria come insostenibile, ma non alla politica fiscale, in quanto, in un ambiente con elevato rapporto debito/PIL, sarebbe molto più semplice ridurre l’obiettivo sul tasso di interesse, rispetto a richiedere un'azione fiscale per contrastare la politica monetaria.

Figura 7.

Un bilancio neutrale alternativo, politica dei bassi tassi di interessi.

·        A causa della distorsione inflazionistica presente in un alto debito, le politiche con alti tassi di interesse  è meglio siano sostituite con una politica di tassi di interesse verso lo zero.
·        Per bilanciare i contraddittori effetti di una politica di tasso di interessi a zero, i redditi privati potrebbero essere supportati tramite la creazione diretta di lavoro (Minsky, Wray, Mitchell, Mosler, Forstater).
·        Se il governo usa il suo bilancio per mantenere la piena occupazione, permettendo al suo debito di crescere (decrescere) in tempi in cui la domanda è stagnante, possiamo caratterizzare la posizione del suo budget come “neutrale”.
·        Con un bilancio neutrale, un politica di tassi di interesse a zero dovrebbe essere meno inflazionaria rispetto ad un alto debito e ad uno schema ad alto tasso di interesse, dacché i lavoratori contribuiranno alla produzione reale piuttosto che semplicemente al suo consumo.



(La preferenza per un basso tasso di interesse piuttosto che uno "giusto" e come sono definiti a livello tecnico devo qui trascurarlo, anche se devo dire che i miei colloqui con alcuni Orizzontalisti, che favoriscono la seconda delle due norme, non sono necessariamente contraddittori, anche se il tasso "giusto" non è necessariamente un tasso overnight (potrebbe essere un tasso a lungo termine), mentre la proposta della MMT fa riferimento al tasso overnight.).

Un'altra ragione per cui la regola di Taylor per la politica monetaria ed un bilancio intertemporale equilibrato per la politica fiscale mix dei neoclassici sia problematica, in tutti i settori dell’economia, è a causai dei saldi settoriali finanziari e per i modelli coerenti di stock-flusso. Chiunque legga la letteratura MMT conosce già la identità contabilità in cui il surplus del settore privato e/o risparmio netto = disavanzo pubblico + saldo delle partite correnti.

Per riassumere brevemente, il punto chiave è che in assenza di un surplus di partite correnti o un disavanzo pubblico, il settore privato nazionale non può avere risparmi netti, mentre generalmente si cerca di farlo, almeno in media. Per fortuna, un governo emittente di valuta in regime di cambi flessibili, è in grado di soddisfare questo desiderio avendo un deficit di bilancio, anche se non vi è alcun surplus delle partite correnti e può eseguire un disavanzo ancora più grande se vi è un deficit di partite correnti per consentire al settore privato risparmi netti. Da non confondere con il risparmio o la spesa per investimenti del settore privato (anche se molti lo fanno, purtroppo), il risparmio netto è semplicemente un indicatore di quanta spesa un intero settore sta facendo rispetto al reddito del settore stesso; cadendo il risparmio netto tende ad essere un segnale di uno spostarsi da coperture finanziarie minskyane, e viceversa.

Una distinzione importante tra la politica monetaria e fiscale, che spesso non è riconosciuta, è quella che gli stimoli monetari "operano" attraverso una riduzione del risparmio netto del settore privato, mentre gli stimoli fiscali funzionano attraverso un aumento del risparmio netto del settore privato (vedere di più su questo qui). Cioè, il taglio dei tassi di interesse attraverso la strategia della regola di Taylor per stimolare l'economia può "funzionare", se il risultato è, per esempio, un aumento della spesa capitale del business o un aumento della spesa delle famiglie, in entrambi i casi in relazione al reddito. Questo, in ultima analisi, aumenta le entrate fiscali per il governo federale, migliorando in tal modo l'equilibrio del bilancio pubblico e riducendo il risparmio netto del settore privato (si noti – solo un attimo a parte - che il risparmio del settore privato aumenta soprattutto con la spesa capitale del business – per una definizione contabile – ma il risparmio netto del settore privato è diminuito). Per la politica fiscale, vi è un trasferimento di reddito o un taglio delle tasse che prima solleva il reddito del settore privato  - il risultato della spesa susseguente si tradurrà in entrate fiscali aggiuntive che in qualche modo compensano l'aumento iniziale di risparmio netto per il settore privato, ma l'effetto complessivo è un aumento, a parte i casi di effetti moltiplicatori estremamente grandi (che probabilmente accadono solo in teoria).

Per vedere come questi differenti effetti rilevino sulla questione del risparmio privato netto, prendete  in considerazione le figure 8 e 9 di Bill Mitchell che presentano una mappa della equazione dei saldi settoriali finanziari. La Figura 8 mostra un grafico (originariamente progettato da Rob Parenteau qui e qui, in cui le partite correnti sono sull'asse orizzontale, il saldo di bilancio del governo è sulla verticale, e una linea diagonale a 45 gradi tra i due saldi è il punto in cui il saldo del settore privato è zero. La parte blu sotto la diagonale è dove il saldo privato è positivo, mentre la parte rossa sopra la diagonale è dove il saldo è negativo. La Figura 9 mostra che, per la sostenibilità del settore privato - da un punto di vista minskiano, che analizza in dettaglio il rischio di dissesto finanziario derivante dalle posizioni finanziarie degli agenti del settore privato - a conti fatti il settore privato dovrebbe essere nella parte blu. Se si assume il surplus del settore privato è di circa il 2% del PIL medio - la media storica negli USA - poi la posizione di bilancio del governo dovrebbe essere negativa, a meno che il saldo delle partite correnti sia almeno il 2% del PIL.

Figura 8 – mappa dei saldi finanziari settoriali.

[La linea verticale è il saldo di bilancio (G-T), in surplus quando (G-T)<0, in deficit quando (G-T)>0; la linea orizzontale è il saldo delle partite correnti (X-M), in surplus quando (X-M)>0, in deficit quando (X-M)<0; la linea in diagonale è quella in cui il saldo privato è 0, cioè (S-I)=0, quindi S=I.  Infine, l’area contrassegnata dal rosso è quella in cui il settore privato è in deficit (S–I)<0, mentre quella in blu (S–I)>0 è il surplus del settore privato n.d.t.]



Figura 9 – Spazio di politica sostenibile e la mappa dei saldi finanziari settoriali

[l’area blu è lo spazio per una politica sostenibile di un governo emittente di moneta n.d.t.]




Inoltre, mentre il settore privato potrebbe desiderare un equilibrio in media del 2% (per esempio), in realtà questo fluttuerà sensibilmente di anno in anno o di trimestre in trimestre, come mostrato in figura 10 (dove il conto capitale è l'opposto delle partite correnti, quindi tutti e tre i saldi possono essere mostrati per generare immagini speculari attorno all'origine). In altre parole, perché il risparmio netto desiderato dal settore privato alla piena occupazione possa fluttuare in modo significativo – salendo molto durante le recessioni e diminuendo considerevolmente durante le espansioni – la politica fiscale dovrebbe rispondere a tono in direzione opposta, come una strategia di finanza funzionale suggerirebbe. Basandosi invece sulla sola politica monetaria, per porre fine a una recessione, richiede al settore privato di essere disposto a ridurre il suo equilibrio nel momento esatto in cui in genere vuole aumentarlo (e questo non è nemmeno menzionare l'accelerazione della fragilità minskiana che può derivare dall’aumentare i tassi di interesse a breve termine e, quindi, nemmeno il prezzo del rifinanziamento che il costo dei debiti verso le istituti finanziarie, al fine di fermare l'espansione che potrebbe essere stata il risultato dell’incoraggiamento della politica monetaria ad una maggiore leva finanziaria in precedenza all’espansione).

Figura 10 - saldi settoriali finanziari come percentuale del PIL dal 1952 1° trimestre al 2012 3° trimestre.

[In blu il saldo del settore privato domestico; in rosso quello del governo; in verde il conto capitale, n.d.t.]   



Insomma, ancora una volta un mix di politiche neoclassiche e di politiche monetarie dominante e guidate da una strategia fatta sulla regola di Taylor e una politica fiscale passiva, che equilibra il suo bilancio intertemporale fondamentalmente in maniera inadeguata in quanto si basa su una visione molto semplificata della macroeconomia che astrae dai tassi di interesse multipli (il modello ha solo un tasso), dai multipli e dalle compensazione dei meccanismi di trasmissione (di nuovo, il modello ne ha solo uno), dalle fragilità monskiane (il modello non si assume il rischio di insolvenza del settore privato, come molti hanno mostrato), da come le banche creano denaro endogenamente da una questione di contabilità (il modello assume fondi mutuabili), e dalla consistenza stock-flusso attraverso i settori dell'economia (il modello assume uno “spiazzamento” fiscale a seguito di deficit fiscali).

Nel mondo reale, la politica fiscale deve essere in grado di rispondere ai desideri di risparmio netto del settore privato ed al pieno utilizzo della capacità; una strategia di politica monetaria in base alla regola di Taylor in realtà fa il contrario. Questo non significa necessariamente che non vi è alcun ruolo per la politica monetaria, se uno è in grado di districare i multipli e compensare i meccanismi di trasmissione (e gli MMTers vedono un ruolo rilevante per la politica monetaria nel trattare con il rischio sistemico ed  evitare le fragilità minskiane – e cosi anche le bolle dei prezzi delle attività - nel sistema finanziario, anche se questo è oltre la portata di questo post), ma significa che, anche in questo caso la politica monetaria dovrebbe accogliere, da qualche parte, una strategia di finanza funzionale per la politica fiscale nella sua funzione di reazione utilizzata per impostare la propria strategia. Fare altrimenti significa attuare una politica monetaria potenzialmente insostenibile che minaccia la stabilità finanziaria del settore privato (in particolare quando il settore privato è fortemente indebitato) o provoca effetti diretti e potenzialmente perversi sul servizio del debito del settore pubblico rispetto agli obiettivi di politica macroeconomica.

Nella parte V, si prenderanno in considerazione le implicazioni della finanza funzionale per le proiezioni del CBO [Congressional Budget Office n.d.t.] del governo a lungo termine per le prospettive di bilancio.

Con la collaborazione di Giacomo Bracci dell'associazione Economia Per I Cittadini

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